Nasce il comitato “Camere Penali per il Sì”: via alla campagna per la separazione delle carriere

Nel giorno – il 16 luglio –  in cui il Senato ha approvato in via definitiva gli otto articoli della riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, l’Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI) ha annunciato la nascita del comitato “Camere Penali per il Sì”, organismo che guiderà la campagna referendaria a favore della riforma.

La costituzione del comitato è stata ufficializzata il 16 luglio 2025 con una nota della Giunta nazionale, che sottolinea come la separazione delle carriere rappresenti da sempre una battaglia storica dell’avvocatura penalista italiana.

Una giustizia più moderna e imparziale

«Con questa iniziativa – si legge nella nota – intendiamo promuovere le ragioni di una riforma che riteniamo essenziale per garantire una giustizia moderna, trasparente, democratica e soprattutto più equa». Secondo l’UCPI, l’attuale assetto del sistema giudiziario italiano presenta profili critici che rischiano di compromettere l’equilibrio tra le parti nel processo penale, ponendo sullo stesso piano chi accusa e chi giudica.

La riforma mira a introdurre percorsi professionali separati per giudici e pubblici ministeri, superando l’unicità della carriera prevista oggi, che consente ai magistrati di passare da una funzione all’altra nel corso della loro vita professionale. Una condizione, secondo i penalisti, che mina le garanzie di imparzialità del giudizio e alimenta un’ambiguità di ruoli dannosa per l’equilibrio processuale.

Una battaglia storica dell’avvocatura penalista

L’Unione delle Camere Penali non è nuova a questo impegno. Già in passato ha promosso raccolte firme, proposte di legge e campagne di sensibilizzazione per ottenere la separazione delle carriere, considerandola un pilastro della riforma della giustizia penale. Con il nuovo comitato, l’UCPI e la sua Fondazione intendono strutturare una presenza attiva durante l’intera campagna referendaria, coinvolgendo l’opinione pubblica e rilanciando il dibattito sul tema in tutte le sedi, istituzionali e mediatiche.

Verso un referendum cruciale

L’approvazione in Senato rappresenta ora un passaggio decisivo, in vista del possibile referendum popolare che potrebbe sancire l’effettiva entrata in vigore della riforma. Il comitato “Camere Penali per il Sì” nasce proprio con l’intento di mobilitare il consenso e spiegare ai cittadini le ragioni di una svolta ritenuta fondamentale per il futuro della giustizia italiana.

La sfida, conclude la Giunta UCPI, è quella di “restituire ai cittadini una giustizia che sia non solo efficiente, ma anche imparziale e rispettosa dei principi costituzionali”.


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Il coraggio sotto tiro: penalisti al fianco dell’avvocata Ballerini

Minacce di morte, intimidazioni sui social e un clima di tensione crescente. È il prezzo che l’avvocata Alessandra Ballerini, difensore della famiglia di Giulio Regeni, si trova a pagare per l’esercizio del suo ruolo in uno dei processi più delicati e simbolici della storia giudiziaria recente del nostro Paese. Un prezzo che, secondo l’Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI), non può e non deve diventare prassi, soprattutto in un contesto già fortemente segnato da pressioni mediatiche e risvolti politici.

L’allarme arriva direttamente dalla Giunta dell’UCPI e dagli Osservatori sull’Avvocato minacciato e sulla Difesa d’ufficio, che da tempo seguono con attenzione il procedimento in corso a Roma nei confronti dei quattro imputati — tutti irreperibili — accusati del sequestro, delle torture e dell’uccisione di Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano rapito al Cairo nel 2016.

Una denuncia che scuote le istituzioni forensi

Secondo quanto riportato da un quotidiano nazionale, l’avvocata Ballerini è nel mirino di un sedicente cittadino egiziano che da maggio le rivolge minacce e insulti attraverso i social media. Le intimidazioni sembrano legate esclusivamente al suo impegno nel rappresentare i familiari della vittima, costituitisi parte civile nel processo.

«Un’aggressione organizzata, reiterata e particolarmente intensa — scrive l’UCPI nel comunicato del 16 luglio — che impone una condanna netta e senza ambiguità». La preoccupazione dei penalisti italiani riguarda non solo l’incolumità della professionista, ma anche la tenuta della funzione difensiva, che rischia di essere condizionata da un clima di paura, alimentato da processi mediatici e da una esposizione eccessiva dei soggetti coinvolti.

Solidarietà e richiesta di azione rapida

L’Unione, pur ribadendo le perplessità giuridiche già espresse in merito al processo instaurato in base alla sentenza costituzionale n. 192/2023 — che ha permesso di procedere contro imputati formalmente non a conoscenza del giudizio — non intende arretrare nella difesa del ruolo dell’avvocato in aula.

Da qui l’appello alle autorità inquirenti affinché si attivino rapidamente per garantire alla Collega le condizioni minime di sicurezza, indispensabili per il proseguimento del suo delicato mandato. L’avv. Ballerini, da parte sua, ha già sporto denuncia ed è determinata a non farsi intimidire: “Non mi fermerò”, ha dichiarato pubblicamente.

Un simbolo di resistenza legale

Alessandra Ballerini è da anni in prima linea nella battaglia per ottenere verità e giustizia per Giulio Regeni. Una battaglia che ha assunto nel tempo una forte carica simbolica, rendendola figura scomoda per chi teme il potere del diritto. L’UCPI ne riconosce il coraggio e ribadisce che ogni toga minacciata è una ferita inferta allo Stato di diritto.

«Oggi è Alessandra, domani potrebbe essere chiunque di noi», sottolineano i penalisti, rilanciando un messaggio forte: nessuno deve essere lasciato solo quando esercita con onore la difesa dei diritti.


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Zuckerberg chiude il caso: accordo segreto sullo scandalo Cambridge Analytica

Mark Zuckerberg e altri ex alti dirigenti di Facebook hanno raggiunto un accordo extragiudiziale per evitare il processo da 8 miliardi di dollari relativo allo scandalo Cambridge Analytica. L’intesa, che secondo fonti vicine al dossier è stata formalizzata a processo già aperto presso un tribunale di Wilmington, in Delaware, pone fine alla class action intentata nel 2018 da un gruppo di azionisti contro i vertici della società — oggi Meta — accusati di gravi negligenze nella protezione dei dati personali degli utenti.

La causa ruotava attorno all’utilizzo illecito, da parte della società britannica Cambridge Analytica, dei dati di decine di milioni di utenti Facebook per influenzare l’opinione pubblica durante la campagna elettorale statunitense del 2016. Un episodio che ha segnato indelebilmente la reputazione della piattaforma, già allora al centro di critiche per la gestione opaca delle informazioni personali e per il ruolo nella diffusione della disinformazione politica.

Una class action da miliardi

A intentare l’azione legale erano stati gli stessi azionisti, che chiedevano oltre 8 miliardi di dollari di risarcimento, includendo in questa cifra le sanzioni già pagate da Facebook — tra cui una multa record da 5 miliardi di dollari inflitta dalla Federal Trade Commission nel 2019 — e le ingenti spese legali sostenute per gestire le conseguenze del caso. Al centro del procedimento, non l’azienda Meta in quanto tale, ma undici ex dirigenti e consiglieri di amministrazione, tra cui nomi noti come Sheryl Sandberg, Peter Thiel e Marc Andreessen. Persino Jeffrey Zients, oggi capo dello staff della Casa Bianca, figurava tra gli imputati.

Zuckerberg era accusato anche di insider trading, oltre che di aver sottovalutato e non gestito adeguatamente la crisi. Secondo le ricostruzioni, Facebook era a conoscenza già dal 2015 dell’operato di Cambridge Analytica, ma non ne denunciò l’estensione né alle autorità né agli utenti.

Il prezzo dell’accordo (misterioso)

L’accordo evita a tutti gli imputati l’umiliazione della testimonianza pubblica, eccetto per Zients che aveva già parlato nella prima udienza. L’entità economica della transazione resta riservata, ma la sua portata è tale da spegnere ogni prosecuzione processuale. Meta, pur non formalmente coinvolta nel procedimento, ha scelto di non commentare la vicenda.

Secondo molti osservatori, la chiusura extragiudiziale rappresenta un’occasione mancata per chiarire le responsabilità effettive e per stabilire una giurisprudenza sulla responsabilità dei dirigenti in materia di protezione dati. “Un’occasione persa per la trasparenza pubblica”, ha commentato Jason Kint, direttore dell’associazione Digital Content Next, accusando Meta di aver manipolato la narrazione dello scandalo, trasformandolo da problema sistemico a colpa di “mele marce”.

Una reputazione in discesa

Lo scandalo Cambridge Analytica è solo uno dei numerosi episodi che negli ultimi anni hanno eroso la reputazione di Zuckerberg e della sua creatura. Accuse di favorire la disinformazione elettorale, di incitare all’odio in contesti di conflitto (come nel caso della minoranza Rohingya in Myanmar), e rivelazioni sull’utilizzo massivo dei dati degli utenti da parte di terzi — come emerso dall’inchiesta del New York Times nel 2018 — hanno dipinto un quadro preoccupante di un modello di business fondato sulla sorveglianza.

Con questa intesa, Zuckerberg archivia forse la questione giudiziaria più grave che abbia mai affrontato. Ma il prezzo più alto, secondo molti, continua a pagarlo l’etica pubblica dell’ecosistema digitale.


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Equità digitale, la Commissione avvia una consultazione sulla prossima legge

Oggi la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica e un invito a presentare contributi sulla prossima legge sull’equità digitale. 

La legge sull’equità digitale rafforzerà la protezione e l’equità digitale per i consumatori, garantendo allo stesso tempo condizioni di parità e norme semplificate per le imprese dell’UE. Affronterà sfide specifiche e pratiche dannose che i consumatori devono affrontare online, come la progettazione di interfacce ingannevoli o manipolative, il marketing fuorviante da parte degli influencer dei social media, la progettazione di prodotti digitali che creano dipendenza e le pratiche di personalizzazione sleali, in particolare quando le vulnerabilità dei consumatori sono sfruttate a fini commerciali. I giovani costituiscono un importante segmento di consumatori con modelli di consumo specifici, e spesso sono i primi utilizzatori delle nuove tecnologie e dei prodotti digitali. La legge sull’equità digitale presterà particolare attenzione alla protezione dei minori online.

La consultazione pubblica sarà aperta per 12 settimane. I cittadini, le autorità pubbliche e le parti interessate sono invitati a condividere le loro idee su come rafforzare ulteriormente la protezione dei consumatori dell’UE online.

I risultati del controllo dell’adeguatezza dell’equità digitale, pubblicato l’anno scorso dalla Commissione, hanno confermato l’importanza delle leggi dell’UE in materia di tutela dei consumatori, ma hanno indicato alcune lacune ed evidenziato che i consumatori continuano a incontrare molteplici problemi online. La legge sull’equità digitale affronterà tali carenze. La Presidente von der Leyen ha incaricato il Commissario McGrath di elaborare una legge sull’equità digitale nella sua lettera di incarico.


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Il CSM lancia l’allarme PNRR: “Servono misure straordinarie per salvare la giustizia”

Un intervento urgente per salvare la parte del PNRR dedicata all’efficienza del sistema giudiziario. Il Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 16 luglio, ha approvato a maggioranza – con l’astensione di cinque consiglieri laici – una delibera elaborata congiuntamente dalle Commissioni Terza, Quinta, Sesta e Settima. Il documento rappresenta un contributo tecnico volto a sostenere gli uffici giudiziari nell’avvicinamento agli ambiziosi obiettivi europei da raggiungere entro giugno 2026: riduzione del disposition time civile del 40%, del penale del 25% e abbattimento dell’arretrato civile fino al 90%.

La delibera, trasmessa al Ministero della Giustizia, riconosce i risultati parziali ottenuti – come la riduzione dell’arretrato civile e del disposition time nel settore penale – ma denuncia al contempo le pesanti criticità ancora irrisolte nel civile. Fra queste, spiccano “le gravi carenze di organico (oltre 1.800 magistrati mancanti), le scoperture nel personale amministrativo (circa 40%) e l’incremento del contenzioso civile (+12% dal 2019)”.

Le proposte strutturali

Per evitare il fallimento del piano europeo, il CSM avanza una serie di proposte di lungo periodo:

  • Proroga dei progetti PNRR, in primis l’Ufficio del processo, con la stabilizzazione di almeno 6.000 addetti su fondi nazionali;

  • Rinegoziazione degli obiettivi nel civile, con particolare attenzione alla materia della protezione internazionale e della cittadinanza;

  • Definizione amministrativa delle domande di cittadinanza e rivalutazione dei casi di protezione internazionale per fatti sopravvenuti, così da evitare il sovraccarico del contenzioso;

  • Estinzione dei giudizi tributari in Cassazione su debiti oggetto di rottamazione, già prevista in un emendamento al decreto legge fiscale.

Gli interventi d’urgenza

Accanto agli interventi strutturali, la delibera propone misure provvisorie e straordinarie per intervenire subito nei territori in sofferenza:

  • Applicazione del regime di sede disagiata per le Corti d’appello coinvolte nel PNRR;

  • Deroga temporanea al criterio cronologico per le nomine direttive e semidirettive in sedi strategiche;

  • Utilizzo di magistrati in quiescenza e applicazioni a distanza;

  • Estensione del tirocinio a 20 mesi per i nuovi magistrati, con affiancamento nelle sezioni civili;

  • Proroga dei giudici ausiliari attualmente attivi nelle Corti d’appello;

  • Rientro temporaneo dei magistrati onorari transitati negli uffici del Giudice di Pace.

Obiettivi 2024-2026 e difficoltà

Nel dettaglio, gli obiettivi concordati con Bruxelles prevedono:

  • Entro dicembre 2024, la riduzione del 95% dei procedimenti pendenti al 31 dicembre 2019 (con iscrizione entro il 2016 per i Tribunali e il 2017 per le Corti d’appello);

  • Entro giugno 2026, una riduzione del 90% dei procedimenti pendenti al 31 dicembre 2022 (con iscrizione tra il 2017 e il 2022).

Resta invariato l’obiettivo sul disposition time, che però – rileva il CSM – entra in conflitto con lo smaltimento dell’arretrato e risulta difficilmente comprimibile, soprattutto alla luce del nuovo rito introdotto dalla riforma Cartabia, che fissa una durata “fisiologica” di almeno un anno e mezzo per il primo grado civile.

Un sistema sotto stress

L’analisi del Consiglio mette in luce la fragilità del sistema: tra il 2019 e il 2025 il tasso di scopertura tra i magistrati è passato dall’11,35% a oltre il 17%, con 1.817 posti vacanti. La situazione del personale amministrativo è ancora più critica, con scoperture stimate attorno al 40%.

A peggiorare il quadro, l’aumento delle nuove iscrizioni nel civile: si è passati da 866.507 nel 2019 a 927.349 nel 2024, con un incremento del 12% che rende ancor più arduo il raggiungimento dei target PNRR.

Le richieste del CSM

Il Consiglio invita Governo e Parlamento ad adottare rapidamente riforme strutturali non più procrastinabili, tra cui:

  • Copertura degli organici della magistratura e del personale amministrativo;

  • Revisione della geografia giudiziaria;

  • Rafforzamento degli strumenti deflattivi del contenzioso, come la conciliazione in primo grado;

  • Stabilizzazione normativa e ordinamentale per consentire una programmazione efficace degli uffici.


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Nell’ambito del piano di smaltimento dell’arretrato relativo agli indennizzi per l’irragionevole durata dei processi – previsti dalla Legge Pinto – il Ministero della Giustizia ha lanciato un’iniziativa concreta per semplificare e velocizzare la procedura: un video-tutorial operativo per la corretta compilazione e presentazione delle istanze attraverso la piattaforma digitale SIAMM.

Digitalizzazione e chiarezza: il nuovo approccio

Il video, pensato sia per i professionisti che per i cittadini, illustra in modo chiaro e dettagliato come caricare online l’istanza, tramite esempi pratici e spiegazioni guidate. Lo scopo è agevolare l’accesso alla procedura digitale, che garantisce maggiore rapidità nei tempi di lavorazione, tracciabilità degli atti e trasparenza dell’iter amministrativo.

Una scadenza da ricordare: 31 dicembre 2025

Chi presenta la domanda attraverso il canale digitale accede più rapidamente al circuito dei pagamenti. È questa la ragione per cui il Ministero invita tutti coloro che hanno già inoltrato l’istanza in formato cartaceo ad aggiornarla nella nuova modalità, allegando una dichiarazione sostitutiva e la documentazione richiesta.

Attenzione ai dettagli: e-mail e correzioni

Una volta trasmessa l’istanza sulla piattaforma SIAMM, è fondamentale monitorare eventuali richieste di rettifica o integrazione: il sistema può segnalare errori formali che, se non gestiti tempestivamente, rischiano di rallentare l’intera procedura. L’inserimento corretto dell’indirizzo e-mail del beneficiario è essenziale per ricevere aggiornamenti in tempo reale.

Un canale WhatsApp per rimanere aggiornati

Per supportare ulteriormente gli utenti, il Ministero ha attivato un canale WhatsApp ufficiale dedicato al progetto “Pinto Paga”, attraverso cui vengono pubblicati:

  • aggiornamenti sulle procedure,

  • link utili,

  • comunicazioni in tempo reale sulla gestione delle domande.

👉 Per iscriversi al canale è sufficiente cliccare sul seguente link:
https://whatsapp.com/channel/0029Vb9pZ4EHQbRzphDI6k2v


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Cassazione: deposito cartaceo sempre ammesso in udienza

Nel processo penale, il deposito cartaceo degli atti resta sempre ammesso durante l’udienza, anche in un’epoca di crescente digitalizzazione. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, con la sentenza n. 24708/2025, segnando un punto fermo in un momento in cui la transizione al processo penale telematico sta creando più di una frizione.

Il caso nasce da un’ordinanza del Tribunale di Tivoli, che aveva escluso la costituzione di parte civile da parte di due persone perché l’atto era stato depositato in forma cartacea, e non telematica, come previsto dall’art. 111-bis del codice di procedura penale. Ma la Suprema Corte ribalta tutto: quella decisione è “abnorme”, poiché fonda l’esclusione su una norma estranea alla fase processuale in questione.

Il cuore della sentenza: l’udienza resta “analogica”

Il principio affermato è chiaro: «Il deposito di atti, memorie o documenti difensivi è sempre ammesso anche in forma cartacea (cosiddetta analogica) nel corso delle udienze in camera di consiglio e dibattimentali». In altre parole, quando ci si costituisce in giudizio direttamente in udienza, è legittimo farlo su carta, senza necessità di ricorrere agli strumenti digitali.

La Corte ha richiamato l’art. 78 c.p.p., che consente la costituzione di parte civile anche oralmente o per iscritto in udienza. Una possibilità che non è stata toccata dalla riforma Cartabia, che ha invece riguardato altri momenti procedurali, come le costituzioni in vista dell’udienza preliminare o predibattimentale.

Una digitalizzazione che non deve travolgere il diritto

Secondo la Cassazione, pretendere il deposito telematico dell’atto di costituzione in aula significherebbe negare di fatto alla parte offesa la possibilità di esercitare un proprio diritto, con evidenti ricadute sul diritto di difesa e sul principio di accesso alla giustizia. E proprio questo contrasto tra formalismo e sostanza porta la Corte a qualificare come “extra-vagante” la decisione del giudice di merito, in quanto fuori dal sistema processuale.

Deroghe già previste dalla norma

Non solo. Il comma 3 dell’art. 111-bis c.p.p. prevede già espressamente delle deroghe all’obbligo del deposito telematico, in caso di:

  • Natura dell’atto incompatibile con la digitalizzazione (es. planimetrie, testamenti olografi);

  • Specifiche esigenze processuali, che rendano necessario il deposito diretto in udienza.

In questa cornice normativa, la costituzione di parte civile – così come una nomina o la produzione documentale legata all’istruttoria dibattimentale – rientra a pieno titolo tra gli atti che possono essere depositati cartaceamente in udienza.

Anche la circolare DGSIA dell’8 gennaio 2025, in attuazione dell’art. 111-ter, comma 3, impone alle cancellerie la scansione dei documenti presentati in forma analogica, dimostrando che il sistema è già predisposto per integrare digitalizzazione e attività d’aula.

I penalisti: “Segnale importante”

La sentenza è stata accolta con favore dalle Camere penali, che ne hanno discusso in un recente incontro con il Dipartimento per l’Innovazione tecnologica della giustizia. Il segretario Rinaldo Romanelli e il delegato Gian Luca Totani hanno evidenziato come si tratti di un “chiarimento atteso” in un periodo in cui il processo telematico mostra ancora molte criticità. Alcune di queste, hanno dichiarato i penalisti, sono “in via di superamento” grazie agli aggiornamenti già in corso al Portale PDP.


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Armadi che strabordano, tavoli sommersi da pile di fascicoli, scaffali ingolfati e faldoni per terra: è il panorama che si presenta entrando in qualsiasi procura d’Italia, come racconta Milena Gabanelli nella sua dettagliata inchiesta pubblicata sul Corriere della Sera del 16 luglio 2025. La promessa rivoluzione digitale della giustizia, partita ufficialmente nel 2019, si è impantanata in un sistema informatico che, invece di snellire, moltiplica disfunzioni, sovraccarichi e lentezze.

L’origine del progetto: informatizzare tutto

L’appalto per informatizzare il processo penale viene affidato dal Ministero della Giustizia a una piccola srl. Un contratto quadro da 100 milioni di euro, secretato, che dovrebbe coprire la digitalizzazione dell’intero iter penale: denunce, atti d’indagine, provvedimenti, fascicoli. L’obiettivo: costruire un sistema telematico chiuso, accessibile solo da soggetti autorizzati come magistrati, avvocati, Gip.

Ma fin dall’inizio – scrive Gabanelli – sono saltate tutte le tappe necessarie: nessuna reale sperimentazione, nessuna gradualità, nessun reato “pilota”. Il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) aveva invitato a non partire dalla parte più complessa (le indagini), ma a gennaio 2024 il nuovo software, denominato APP, è stato imposto in ben 87 procure. Senza formazione adeguata. Senza adattamenti. Senza una vera fase di test.

Un sistema impallato

I primi atti a essere digitalizzati sono quelli di archiviazione contro ignoti – i meno rischiosi – ma anche lì il sistema si inceppa. APP non tiene conto delle strutture organizzative interne alle procure: le richieste si mischiano, i visti non si trovano, i cancellieri non vedono gli atti vistati. A quel punto, dal mese di aprile 2025, il deposito telematico diventa obbligatorio. Ma la stessa legge prevede che, in caso di malfunzionamento, si possa tornare al cartaceo. E così è successo ovunque.

Lavoro raddoppiato, risultati azzerati

Risultato: si lavora doppio. Gli atti arrivano su carta e devono essere inseriti nel sistema digitale. Se manca corrispondenza tra le versioni, bisogna ricominciare da capo. Nel frattempo, ogni giorno arriva alle procure una PEC dal ministero con l’aggiornamento della giornata: “modificato questo campo”, “aggiunta questa funzione”. Ma nessuno fornisce un cronoprogramma, e gli operatori si trovano a navigare tra decine di programmi che non comunicano tra loro, mentre gli assetti organizzativi degli uffici non riescono a tenere il passo.

Un problema strutturale, non temporaneo

“Ogni innovazione comporta un rallentamento iniziale”, riconosce Gabanelli. Ma in questo caso ai rallentamenti fisiologici si aggiungono errori di impostazione, fretta, improvvisazione, scarso ascolto dei suggerimenti istituzionali (come quelli del CSM). Il tutto con un aggravante: la macchina giudiziaria italiana è già notoriamente lenta. E ogni giorno di ritardo in più può significare prescrizione per il colpevole, impunità per la vittima, sofferenza prolungata per l’innocente.

Una questione di risorse e volontà

Se la riforma della giustizia è davvero una priorità del governo – conclude la giornalista – è necessario investire in modo serio e mirato. Non bastano dichiarazioni e normative, servono risorse tecniche, formazione adeguata, software funzionanti e interoperabili, un piano condiviso con gli operatori della giustizia. Senza questi elementi, l’APP resterà solo un altro acronimo inutile in un sistema che chiede meno promesse e più fatti.


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Compensi professionali: interessi moratori dalla messa in mora, anche stragiudiziale

Con l’ordinanza n. 19421 depositata il 15 luglio 2025, la Corte di Cassazione interviene con un chiarimento decisivo sulla decorrenza degli interessi di mora nei crediti professionali, in particolare per l’attività forense. Il principio affermato dalla Seconda Sezione civile è netto: gli interessi ex articolo 1224 del Codice civile decorrono dalla costituzione in mora del debitore, che può avvenire sia con la proposizione della domanda giudiziale sia con una richiesta stragiudiziale di pagamento.

La decisione giunge in accoglimento del ricorso presentato da due avvocati che avevano assistito una società, poi risultata contumace in primo grado davanti al Tribunale di Bergamo. La Corte territoriale aveva riconosciuto il credito richiesto (10.248,99 euro), condannando la società al pagamento degli interessi legali dalla data della domanda fino all’adempimento, oltre alle spese processuali. Ma i legali avevano contestato l’omessa applicazione degli interessi moratori previsti dal decreto legislativo n. 231 del 2002 e la decorrenza fissata dalla domanda giudiziale anziché dalla messa in mora, effettuata con diverse richieste stragiudiziali.

Il principio di mora nel credito professionale

La Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso, ribadendo che la disciplina sui ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, inclusi i contratti d’opera professionale, prevede la maturazione degli interessi moratori dalla messa in mora, a condizione che il ritardo non sia giustificato da cause non imputabili al debitore (art. 3, D.lgs. 231/2002). La liquidazione giudiziale successiva non incide sulla decorrenza della mora, neanche se l’importo liquidato è inferiore rispetto alla richiesta originaria.

Non è quindi determinante la data della decisione giudiziale che accerta e quantifica il credito: la costituzione in mora – attraverso atti formali o iniziative legali – è sufficiente per far decorrere gli interessi. Il giudice di merito, rileva la Cassazione, avrebbe dovuto applicare fin da subito gli interessi moratori, tenendo conto delle diffide precedentemente inviate.

La rivalutazione non scatta automaticamente

Diversa la sorte del secondo motivo di ricorso, con cui i legali chiedevano il riconoscimento della rivalutazione monetaria del credito, sostenendo che la mancata contestazione della parcella avrebbe dovuto attivare d’ufficio sia la rivalutazione che gli interessi moratori dalla scadenza del termine di pagamento. La Corte ha respinto l’argomento: per i crediti illiquidi la decorrenza della mora non è automatica, ed è sempre necessario un atto di costituzione in mora.

La sentenza ribadisce un principio consolidato: in illiquidis non fit mora non è un dogma assoluto, ma resta esclusa la mora solo se il debitore si trovi nell’impossibilità oggettiva di quantificare il dovuto. Quando, invece, è ragionevolmente possibile effettuare una stima, ad esempio sulla base di tariffe professionali o di attività documentate e non controverse, la dilazione diventa ingiustificata. In tal caso, anche in presenza di una contestazione giudiziale del credito, la condotta del debitore può configurare responsabilità per ritardo colpevole nell’adempimento.


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Scuola, dal 2025 assicurazione Inail strutturale per studenti e docenti

A partire dall’anno scolastico 2025/2026, la tutela assicurativa Inail nelle scuole italiane diventa strutturale. Dopo due anni di sperimentazione positiva, il governo ha deciso di rendere permanente la copertura per studenti e personale scolastico, includendo anche gli istituti paritari e privati, le università, i percorsi Afam, gli ITS Academy, la formazione professionale regionale e i centri per adulti.

La norma è contenuta in un emendamento approvato dalla Commissione Cultura del Senato al decreto-legge 90/2025, su impulso congiunto dei ministri Marina Calderone (Lavoro) e Giuseppe Valditara (Istruzione). La misura riguarderà oltre 10 milioni di beneficiari tra alunni, insegnanti, personale Ata, assistenti, ricercatori, assegnisti ed esperti esterni.

Le cifre dell’intervento
Lo stanziamento previsto è progressivo: 5 milioni di euro per il 2025, poi 10,14 milioni nel 2026, 10,45 milioni nel 2027, fino ad arrivare a 13,03 milioni di euro annui dal 2034 in poi. Un impegno economico importante, che i ministri definiscono “uno sforzo senza precedenti”.

I dati sugli infortuni scolastici
Secondo i dati Inail aggiornati a maggio 2025, le denunce di infortunio studentesco sono state 45.159, in lieve aumento rispetto alle 43.856 del 2024. Di queste, 1.001 hanno riguardato studenti impegnati nei percorsi scuola-lavoro (Pcto), con una significativa diminuzione del 12,9% rispetto all’anno precedente. L’incidenza degli infortuni nei Pcto è scesa dal 2,6% al 2,2% del totale, mentre i casi gravi sono rimasti marginali (0,06% degli studenti coinvolti). Il calo è attribuito anche alle nuove misure di sicurezza introdotte nei contesti di formazione “on the job”.

Cosa copre l’assicurazione
Per gli studenti, la copertura riguarda tutti gli eventi lesivi – infortuni e malattie professionali – riconducibili all’attività scolastica svolta nei locali o nelle pertinenze dell’istituto: urti contro arredi, infissi, o cadute accidentali sono tra gli esempi più frequenti. Nei percorsi di alternanza scuola-lavoro (Pcto), è previsto anche il riconoscimento dell’infortunio in itinere, ovvero durante il tragitto tra scuola e luogo di lavoro.

Più ampia ancora è la copertura per il personale scolastico: tutti gli eventi lesivi sono tutelati, inclusi quelli avvenuti nel percorso casa-lavoro. La tutela si estende anche alle attività svolte da collaboratori esterni, assistenti tecnici, assegnisti di ricerca e figure professionali impegnate nella didattica.

Valditara: “Un tassello nella valorizzazione della scuola”
«Con questa misura aggiungiamo un tassello fondamentale alle politiche per la valorizzazione della scuola», ha dichiarato il ministro Valditara. Gli fa eco Marina Calderone: «Si tratta di un impegno concreto, che conferma l’attenzione del governo per la sicurezza e la salute di studenti e personale scolastico».


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